“Valentina, anche io voglio fare post come lui”
Questa frase la sento spesso, soprattutto quando la collaborazione con un cliente è agli esordi. La mia risposta è la stessa: i numeri vanno interpretati, non idolatrati.
Ogni volta che qualcuno mi dice ‘voglio fare post come lui’, io mi faccio una sola domanda: abbiamo capito davvero cosa stiamo misurando?
Un mio cliente, professionista arrivato su LinkedIn meno di un anno fa, condivide con me il profilo di un collega molto attivo sulla piattaforma, che considera un punto di riferimento. “Guarda”, mi dice, “fa sempre minimo 90 like, spesso supera i 200. Io invece fatico a superare i 10.”
Così, per motivare la mia risposta, ho deciso di fare un po’ di conti con una piccola analisi comparativa tra i due professionisti, ed ecco cosa è emerso:
Sulla carta, il collega (che chiamo Professionista XX) appare più performante; è vero ottiene centinaia di like a post. Ma se rapportiamo i numeri alla dimensione della rete, la fotografia cambia.
Il cliente ottiene un tasso di interazione sette volte superiore. In proporzione, ogni suo contenuto genera più attenzione e coinvolgimento rispetto a un profilo con una community molto più ampia.
Questo è il classico caso in cui il dato assoluto inganna e il dato relativo racconta la verità.
Perché succede?
1. L’effetto rete satura Quando un profilo supera una certa soglia (10.000+ collegamenti), l’algoritmo distribuisce i contenuti a una frazione sempre più piccola del network. È un effetto di diluizione della reach: più contatti hai, meno profonda è la relazione media, quindi minore la risposta.
2. L’algoritmo privilegia la prossimità, non la popolarità LinkedIn non valuta la notorietà, ma la forza delle interazioni e delle relazioni. Un profilo “piccolo” ma con relazioni solide genera più conversazioni significative, e questo segnala all’algoritmo che il contenuto è rilevante.
3. Il valore dell’engagement rate Il tasso di engagement (like + commenti / numero di collegamenti o follower) è una metrica qualitativa. Non serve per vantarsi, ma per capire quanto la tua community è viva e ricettiva. Un tasso tra l’1 e il 2% su LinkedIn è già un ottimo dato.
Cosa dovrebbe fare davvero un professionista nei primi 12 mesi su LinkedIn
Il mio cliente non aveva un problema di performance, ma di percezione (e forse, di ego un po’ in sofferenza). In realtà, stava già facendo quello che ogni professionista dovrebbe fare nei primi 12 mesi su LinkedIn.
- Pubblicare con costanza
- Commentare e interagire con i contenuti di valore.
- Costruire un network mirato, non sterminato.
In questa fase ma anche guardando al futuro, l’obiettivo non è aumentare i like, ma educare l’algoritmo e consolidare le relazioni. Il risultato sarà una rete qualitativamente solida e progressivamente più reattiva. I like cresceranno, ma come conseguenza, non come obiettivo.
Le metriche LinkedIn che contano davvero
Ecco 4 indicatori che, dal mio punto di vista, sono molto, ma molto più utili dei like:
- Engagement rate % – misura la qualità delle relazioni.
- Commenti qualificati – quanti provengono da persone in target.
- DM ricevuti / collaborazioni nate – segnali di fiducia reale.
- Crescita settimanale della rete in target – parametro di espansione organica.
Conclusione: non contare i like, costruisci relazioni
Smettiamola di guardare i like come dei KPI. Certo fanno piacere, ma sono solo un sintomo. Il reale indicatore, qualora si voglia investire tempo ed energie su questa piattaforma, è la capacità di costruire un pubblico rilevante e coinvoltonel tempo.
(E se vogliamo dirla proprio tutta, la domanda giusta non è quanti like hai, ma chi ti mette questi like).
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