Il mio post pubblicato oltre 15 giorni fa su Linkedin continua a macinare engagement quotidiano; ha superato le 73mila impression, è stato messo in evidenza da LinkedIn Notizie ed ha generato anche alcune repliche, segno che il tema ha colpito.
Ma è anche un segnale che LinkedIn sta continuando la sua silenziosa rivoluzione del proprio algoritmo. Perché, se anche tu ci hai fatto caso, ultimamente nei nostri feed compaiono post pubblicati 1, 2 o anche 3 settimane fa che riappaiono nelle prime posizioni.
Lo conferma anche lo stesso Gyanda Sachdeva, vice presidente del Product Management di LinkedIn, in un’intervista a Business Insider del 14 luglio. Sachdeva spiega che, da metà giugno, è in corso un test per trovare un nuovo “efficient frontier” tra recency e rilevanza professionale.
Il feed privilegia contenuti con engagement distribuito nel tempo, relazioni significative e competenza degli autori. Il suo obiettivo è quello di non misurare la popolarità a tutti i costi, ma generare opportunità reali: lead, nuove connessioni, collaborazioni, visibilità professionale.
Un passaggio che, anche se non dichiarato, ricorda da vicino quanto già previsto da Anderson che, nel suo “The Long Tail: Why the Future of Business is Selling Less of More”, aveva anticipato tutto questo.
La sua intuizione era semplice quanto rivoluzionaria: l’economia digitale non premia solo gli hit del momento, ma valorizza la sommatoria infinita dei contenuti di nicchia nel tempo.
E quindi la vecchia e malsana logica del “pubblica e spera” potrebbe finalmente dirsi superata, lasciando il passo a un contenuto ben costruito che può avere un ciclo di vita molto più lungo rispetto al suo giorno di pubblicazione.
Nel comportamento dell’algoritmo si intravede una logica non troppo distante da quella già vista nel mondo e-commerce… e se LinkedIn stesse replicando il modello Amazon?
Non più solo bestseller in homepage, ma anche articoli correlati e potrebbero interessarti anche questi che pescano dall’archivio. Così significherebbe che il contenuto di qualità non ha più scadenza, ha un ciclo di vita esteso che si autoalimenta:
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Engagement ritardato genera nuovo engagement
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Condivisioni asincrone amplificano la reach nel tempo
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L’algoritmo impara che quel contenuto “funziona” e continua a riproporlo
Nella realizzazione di contenuti questo si traduce in: meglio 10 post che performano per mesi che 100 post che muoiono in un giorno.
La diretta conseguenza è che probabilmente dobbiamo ripensare le nostre metriche. Non conta solo quante impression fai nelle prime 24 ore, ma quante ne accumuli nei primi 30 giorni. Non conta solo il picco di engagement, ma la persistenza del coinvolgimento.
Per chi lavora sul proprio personal branding con una visione orientata verso il lungo periodo, questa fase potrebbe rivelarsi preziosa.
Abbiamo a che fare con un algoritmo che sta valorizzando in qualche modo la qualità nel tempo favorendo chi ha coerenza narrativa, chiarezza di posizionamento e un’identità professionale riconoscibile; anche se, a prima vista, potrebbe sembrare il contrario.
Questi cambiamenti, infatti, stanno generando non poca confusione: le impression sembrano fluttuare, l’engagement arriva in ritardo, i contenuti appaiono fermi e poi riprendono quota giorni dopo. Ma proprio in questo scenario, chi ha una strategia editoriale non episodica può trasformare l’instabilità percepita in un vantaggio competitivo.
Personalmente, pur ritenendo tutta questa situazione interessante ho il presentimento che la scelta della piattaforma sia un filino azzardata. Lo stesso sentore l’ho riscontrato anche tra alcuni colleghi, ad esempio Fabio Banzato che, in un suo post, ha espresso alcune perplessità rispetto alla sostenibilità di questo modello.
La cosa certa (ma questo già lo sapevamo) è che Long Tail non è una teoria economica: è diventata la logica con cui i social media premiano la qualità nel tempo. Chi la adotta, comunica meglio e più a lungo.
LinkedIn, dal lato suo, sembra aver capito che il valore vero del professional networking non sta nell’immediatezza del social media, ma nella stratificazione della conoscenza condivisa nel tempo.
Tutto questo apre nuove opportunità, ma richiede buon senso. Pertanto, continuiamo a dare valore ai contenuti, impariamo a farli meglio, con più coerenza e meno ossessione per le metriche. Studiamo la piattaforma, certo, ma non regoliamo ogni scelta sui capricci dell’algoritmo.
Chi ha una strategia, oggi ha un vantaggio. E se la gioca sul lungo periodo.
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Sono Valentina Gherardi, lavoro con imprenditori, figure executive e professionisti senior per costruire strategie di personal branding che rafforzano il posizionamento, generano riconoscibilità e aprono nuove opportunità professionali.
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