Post-Authenticity Era: come comunicare in modo umano e strategico

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Torno a parlare di autenticità dopo aver letto un interessante articolo di Shane Snow, CEO di Showrunner, che si aggiunge alle mie riflessioni su questa tanto decantata parola.
Una parola che, se un tempo era rivoluzionaria, oggi rischia di diventare una scorciatoia semantica.

Vorrei orientare questo discorso su due piani. Il primo riguarda la perdita di profondità del concetto; il secondo, una più alta ambizione: comunicare in modo umano senza improvvisare, costruendo fiducia attraverso la coerenza. A maggior ragione quando questa autenticità viene richiesta anche a chi rappresenta un’azienda, e quindi più persone.

Quando l’autenticità diventa superficie

Se oggi cerchi su Google frasi sull’autenticità, troverai citazioni come:

“Non c’è niente di più bello che vedere una persona essere se stessa.”
“La leadership autentica è guidare in modo adattivo a partire dal proprio nucleo interiore, un’esperienza di corpo e mente.”

Riconosco che chi scrive queste frasi vuole ispirare, ma la loro forza aforistica rischia di farci dimenticare un dettaglio: non sono del tutto vere. Vedere qualcuno essere se stesso è positivo solo se quella persona è buona, corretta, etica, rispettosa. Altrimenti, l’autenticità diventa solo un alibi. E quanto alla leadership di corpo intero, potremmo anche tradurla così: “Contrai gli addominali, il leader guida in posizione plank.” Ma non scherziamo.

Dall’autenticità all’umiltà intellettuale

Oggi svariate ricerche evidenziano che una delle competenze più importanti per i leader del futuro è l’umiltà intellettuale — la capacità di riconoscere i propri limiti cognitivi e rivedere le proprie convinzioni quando emergono nuove evidenze.

Uno studio di Porter et al. (2022), pubblicato su Frontiers in Psychology, mostra che chi pratica questa forma di umiltà non solo è percepito come più affidabile, ma crea anche ambienti di lavoro più collaborativi e innovativi. E l’umiltà intellettuale, in fondo, è l’esatto contrario del non cambiare mai.

Tornando alle frasi motivazionali: anche se scritte con buone intenzioni, possono diventare fuorvianti se prese alla lettera, contribuendo al grande problema del nostro culto dell’autenticità.

Come tutte le virtù, anche questa da sola non è né ammirevole né produttiva.

Cosa significa essere autentici

Per capire come applicare l’autenticità nella comunicazione, bisogna chiedersi: cosa significa davvero essere autentici?

Trovo utile pensarci attraverso il suo opposto: la falsità. Qualcosa di autentico è qualcosa che non è falso. Essere autentici, come persone e come leader, significa dire ciò che si pensa e fare ciò che si dice. O, meglio ancora, fare in modo che ciò che dici equivalga a ciò che fai. A partire da questa definizione, preferisco sostituire la parola autenticità con un termine più concreto: congruenza.

La domanda diventa quindi: sono congruente in ciò che dico, penso e faccio?

Brené Brown nel suo TED Talk dice che “L’autenticità è un insieme di scelte che dobbiamo fare ogni giorno. È la scelta di esserci davvero e di essere reali. La scelta di essere onesti.”
E fin qui tutto bene. Ma occhio al tranello; ciò che proviamo e ciò che pensiamo non sempre sono allineati. La chiave di svolta è proprio nella parola scelta. Essere autentici non equivale a dire tutto ciò che ci passa per la testa, ma scegliere come comunicare in modo coerente, rispettoso, intenzionale.

Vuol dire comunicare in modo strategicamente umano,restituendo alla comunicazione il suo peso. Significa scegliere di essere veri, ma anche intenzionali.
Perché il rispetto, per se stessi e per chi ascolta, spesso passa più dalla coerenza che dalla spontaneità; se vogliamo lasciare un segno di fiducia.

E fidarsi, nel 2025, è assai difficile.

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Sono Valentina Gherardi e mi occupo di consulenza strategica in Personal Branding per imprenditori, CEO e figure apicali.

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