I due livelli dello Storytelling nel Personal Branding

Indice

Oggi non è difficile scrivere; con un paio di clic puoi avere testi di ogni genere. Quello che è raro, invece, è trovare storie che lasciano un segno.

Lo storytelling, nel contesto del personal branding, non è mai un esercizio sterile di scrittura o di creatività fine a sé stessa; piuttosto è un’azione che serve a generare significato. E la cosa interessante è che questo significato non si produce soltanto per chi racconta, ma soprattutto per chi ascolta o legge e si riconosce, sentendosi parte attiva di quel racconto:

si trasforma una storia personale in un’esperienza condivisa, in qualcosa che parla anche di chi ascolta, non solo di chi parla.

Per riuscirci, è utile distinguere due livelli narrativi, entrambi indispensabili:

Lo storytelling primario ovvero il cuore emotivo: è ciò che emoziona, cattura, ispira. È il racconto del perché, la storia che ti ha portato a essere chi sei e a fare ciò che fai. È ciò che ti rende memorabile e che crea connessione, perché non è un elenco di titoli o competenze ma un filo che lega scelte, valori, momenti di rottura.

Accanto a questo, però, serve lo storytelling secondario, il tessuto che sostiene, le prove, i dettagli, i risultati che danno consistenza al racconto principale.

Senza il primario resti bidimensionale, tecnico, persino distante; senza il secondario rischi di fermarti all’ispirazione, lasciando l’impressione di una storia suggestiva ma fragile. Insieme danno vita ad una dinamica che funziona, in cui l’emozione cattura e la prova convince.

Oggi costruire online una narrazione che abbia questo equilibrio e, soprattutto, che sia in grado di generare significato per qualcun altro è una delle sfide più complesse. Non perché manchino gli strumenti, ma perché siamo immersi in un flusso continuo di contenuti, spesso scritti in modo impersonale e standardizzato, quando non prodotti integralmente da un’AI.

In questo scenario, riconoscere un contenuto che unisce competenza linguistica e capacità di raccontare una storia capace di toccare, di accendere una riflessione e di far sentire chi legge parte di un quadro più grande è un’esperienza rara e quindi di grande valore.

Per chi si confronta con quest’arte, significa saper orchestrare con consapevolezza i due registri narrativi. Pensiamo all’applicazione dello storytelling su Linkedin:

Lo storytelling primario, che apre e cattura, deve emergere già dall’headline o dalla sezione About di un profilo LinkedIn; lo storytelling secondario, che arricchisce e convince, deve nutrire post, articoli, case study, newsletter, speech.

L’uno senza l’altro sbilancia la percezione; troppo cuore rischia di sembrare motivazionale, troppo metodo rischia di spegnere l’attenzione. Invece, quando i due si incontrano, si costruisce quello spazio narrativo in cui chi legge non si limita a dire “bello”, ma a pensare “parla anche di me”.

Quando ciò si verifica, il personal branding diventa davvero efficace e la tua storia non resta confinata alla tua biografia, ma diventa un racconto collettivo capace di generare fiducia, posizionamento e opportunità.

Ti è stato utile questo articolo?

Sono Valentina Gherardi, lavoro con imprenditori, figure executive e professionisti senior per costruire strategie di personal branding che rafforzano il posizionamento, generano riconoscibilità e aprono nuove opportunità professionali.

Se stai ripensando la tua presenza online o vuoi sviluppare una narrazione più efficace su LinkedIn, possiamo lavorarci insieme: scrivimi qui.

APPUNTI DEL BLOG

Vuoi approfondire altri contenuti?