Il futuro del personal branding non sarà per tutti

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(…ma sarà fondamentale per chi vuole contare qualcosa.)

Negli anni ’90 il personal branding nasceva come provocazione. I percorsi di carriera erano tendenzialmente verticali e i media erano più filtrati rispetto ad oggi; parlare di sé in termini di “marca” era un’idea rivoluzionaria. Oggi, a distanza di trent’anni, il contesto è completamente cambiato: il web è in mano a dei giganti chiamati tecnologia e social, l’esposizione è continua, la rincorsa ai like è spasmodica, e la comunicazione ha perso di vista il senso di responsabilità.

Nel frattempo, il termine personal branding ha continuato ad essere utilizzato – e spesso abusato – per definire quasi tutto: autenticità, unicità, spontaneità, visibilità. Ma un brand personale, se è davvero tale, non può prescindere da due elementi: posizionamento e direzione.

Non si costruisce un’identità professionale per piacere. La si costruisce per orientarsi nel tempo, per essere leggibili anche in mezzo al caos, per occupare uno spazio di senso. E in questo senso, l’essere unici non basta. Anzi, di per sé non è che sia così rilevante.

Cosa possiamo fare? Inziare a porci e a rispondere con onestà ad un nuovo tipo di domande: sei utile? Sei rilevante? Stai contribuendo a qualcosa che resta?

Sono una persona pragamatica, che cerca di mantenere una visione lucida delle cose. Osservo chi fa buon uso del personal branding; chi sa selezionare, chi semplifica, chi comunica con intenzione. Loro verranno premiati. Non chi parla per primo o di più, ma chi riesce a dire cose che restano. Perché oggi, ogni parola su internet lascia una traccia; ogni messaggio contribuisce (nel bene o nel male) alla nostra reputazione. E la reputazione, oggi, è un asset. Fragile. Permanente. Valutabile.

Emergeranno i professionisti che non inseguono l’algoritmo, ma la qualità. Quelli che sanno unire pensiero critico, padronanza del linguaggio e capacità di leggere il contesto. I CEO che non comunicano per spettacolarizzarsi, ma per sostenere una leadership visibile anche nel silenzio. I manager che hanno compreso che il modo in cui raccontano il proprio lavoro impatta sulla percezione del valore di un’intera organizzazione.

Il personal branding non sarà per tutti, perché richiederà più consapevolezza, più lucidità, più coraggio. Sarà una conseguenza, non un obiettivo. E chi guiderà questo cambiamento sarà chi smette di rincorrere la visibilità e inizia a progettare la propria voce personale come leva strategica.

Chi oggi sta attraversando un cambiamento professionale, un riposizionamento o chi inizia a muoversi in uno scenario inesplorato, dovrebbe assecondare questa evoluzione, puntando a qualcosa che lo rappresenti davvero. Per sé e per chi gli è attorno.

Se questo articolo ti ha fatto riflettere su come comunichi oggi, e su cosa vuoi far emergere davvero, potremmo lavorarci insieme.

Sono Valentina Gherardi, consulente in Strategia di Personal Branding per professionisti e manager in evoluzione. Se vuoi rendere la tua comunicazione più solida, coerente e riconoscibile, scrivimi a hello@valentinagherardi.com

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