Se avessi basato la mia carriera sul “fattore C” – quello di cui si parla tra colleghi con una scrollata di spalle, come a dire “ha avuto culo” – probabilmente non avrei concluso molto.
Non ho mai avuto santi in paradiso, né scorciatoie da percorrere; solo domande scomode da farmi, scelte da difendere e la voglia ostinata di costruire qualcosa che mi somigliasse davvero.
Per questo, quando parlo di Fattore C, intendo tutt’altro. Mi riferisco a cinque parole che tornano sempre, quando lavoro al personal branding di un professionista. Cinque pilastri che non fanno rumore, ma fanno la differenza. E voglio partire da quella meno citata, e forse più urgente.
Creanza
È una parola che oggi sembra fuori tempo. Eppure, più mi confronto con il modo in cui i professionisti comunicano, più mi accorgo che è proprio questa la qualità che sta venendo sempre meno.
Creanza significa rispetto. Misura. Attenzione. Non solo verso gli altri, ma anche verso se stessi. È quella sensibilità che ti fa rileggere un messaggio prima di inviarlo. Che ti suggerisce di non rispondere a caldo. Che ti aiuta a scegliere il tono, non solo il contenuto.
Nel mondo della comunicazione spesso si dà per scontato che la forma venga dopo. Io credo l’esatto contrario: la forma è già sostanza. È il modo in cui scegli di stare in relazione. È quello che gli altri sentono di te, anche quando non dici nulla.
La creanza non è debolezza, non è censura, non è finta gentilezza. È discernimento. E per chi lavora sul proprio brand personale, è un’alleata preziosa: perché ti ricorda che, in certi momenti, la scelta più potente è sapere quando è il caso di tacere.
Chiarezza
Spesso diamo per scontato di sapere chi siamo e cosa vogliamo comunicare. Eppure, se non c’è chiarezza dentro, sarà difficile che ci sia coerenza fuori.
La chiarezza è il punto da cui tutto parte: non solo nella comunicazione, ma nella relazione con se stessi. È guardare il proprio percorso senza filtri, e capire se quello che stiamo raccontando è ancora fedele a ciò che siamo diventati.
Ci sono momenti in cui questo lavoro si fa più urgente; quando le cose non vanno come ti aspetti ed inizia a mettere in discussione tutto: le tue idee, le scelte fatte, perfino la direzione presa.
Ma succede anche quando tutto sembra andare per il verso giusto e, nonostante questo, non provi la soddisfazione che ti aspettavi. Quel risultato tanto atteso arriva, ma non lascia il segno. In questi momenti la chiarezza diventa una necessità. Non tanto per spiegarti meglio agli altri, ma per tornare a capire se ciò che stai facendo ti somiglia ancora.
Consapevolezza
Ogni percorso di personal branding che si rispetti parte da un momento di consapevolezza. Non c’è scampo (e se non te lo fanno affrontare fatti qualche dimanda).
È una fase iniziale, spesso silenziosa, in cui inizi a farti domande diverse: “Perché comunico?”, “Cosa sto cercando davvero?”, “Cosa sto evitando?”
Cominci a togliere le sovrastrutture, a lasciare andare le abitudini che non ti rappresentano più. Non è sempre un momento piacevole: le certezze iniziano a traballare, alcuni riferimenti si fanno sfocati, altri si rivelano per quello che sono.
Ma è anche una fase preziosa, perché spalanca uno spazio nuovo: quello in cui puoi iniziare a costruire un’identità comunicativa che ti appartiene e che arriva. La consapevolezza non ti dà risposte immediate, ma ti cambia lo sguardo. E a volte, è tutto ciò che serve per fare il prima passo.
Coerenza
La coerenza fa sempre sospirare un po’ perché, a differenza della creatività o del carisma, non ha l’effetto “wow”. Non brilla e certamente non stupisce. Però tiene in piedi tutto.
In comunicazione, non è quello che dici una volta a definire chi sei, ma ciò che scegli di mostrare con continuità nel tempo. È quel filo sottile che unisce pensieri, parole e azioni. Quello che fa dire a chi ti osserva: “È esattamente come immaginavo fosse” – e di questi tempi non è poco.
Essere coerenti non significa rimanere immobili; significa avere una direzione chiara, anche quando cambi passo. A volte comporta scelte scomode, piccoli compromessi, rinunce. Ma è proprio lì che si gioca la partita: restare fedeli a ciò che conta davvero, anche quando nessuno guarda.
Carisma
Il carisma viene spesso raccontato come un dono: o ce l’hai, o non ce l’hai. Ma in realtà credo abbia molto più a che fare con la presenza che con la predisposizione.
Tempo fa ho letto un’intervista a Olivia Fox Cabane, autrice di The Charisma Myth, in cui affermava che il carisma può essere coltivato. Non serve cambiare personalità, né diventare qualcuno che non sei. Serve allenare la consapevolezza di come ti muovi nel mondo: nei gesti, nei silenzi, nella qualità dell’attenzione che offri agli altri.
Sono convinta che le persone carismatiche non sono quelle che parlano di più, bensì quelle che, quando parlano, fanno sentire gli altri importanti. Quelle che ti riescono a trasmettere energia, anche in una pausa (Steve Jobs ci ha costruito sopra alcune delle presentazioni Apple più potenti.)
In conclusione
C’è una cosa che spesso dimentichiamo: nella comunicazione non conta solo ciò che vogliamo dire, ma ciò che gli altri sono pronti ad accogliere. Possiamo lavorare per mesi su messaggi perfetti, piani editoriali e strategie, ma se non c’è allineamento tra chi siamo, come ci mostriamo e come ci relazioniamo… tutto il resto perde forza.
La verità è che le persone non ci seguono perché siamo bravi a raccontarci. Ci seguono quando, in ciò che diciamo, riescono a vedere un pezzo di sé.
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