Domenica c’è stata la festa del nostro quartiere ed è stato ingaggiato un gruppo musicale di baldi giovani. Seppur animati da nobili intenzioni, e promettendo a inizio esibizione che ci avrebbero fatti ballare tutti, appena hanno iniziato a cantare sui nostri volti lampeggiava una sola parola: raccapriccianti.
Così, se da un lato volevo andarmene, dall’altro non riuscivo a trattenermi dal continuare a stare li. Ho scoperto che questo tipo di piacevolissimo tormento in spagnolo si chiama vergüenza ajena, dove ajena significa “altrui, estranea” e vergüenza sta per “vergogna, umiliazione”.
In poche parole, si tratta di un’umiliazione vissuta per interposta persona, che di solito si prova nei confronti di uno sconosciuto. Succede, ad esempio, quando un politico sbaglia a pronunciare il nome di una persona importante ma sostiene di averlo detto giusto.
Tornando all’episodio, quell’imbarazzo condiviso mi ha fatto riflettere molto. Perché anche senza dire nulla, eravamo tutti immersi in una conversazione silenziosafatta di emozioni, imbarazzo e una buona dose di divertita incredulità.
Ed è lo stesso che accade quando ci troviamo all’interno di una conversazione difficile, dove a parlare non sono mai solo le parole, ma soprattutto le emozioni che circolano e che, se non riconosciute, rischiano di prendere il sopravvento.
Quando una conversazione è tesa, le persone sagge non reagiscono: rispondono. Lo fanno con intenzionalità, cercando di portare chiarezza e prospettiva, invece di aggiungere confusione.
Chi non riesce a farlo, al contrario, si lascia intrappolare dalle proprie emozioni, magari rispondendo a caldo o dicendo qualcosa di completamente sbagliato. Il risultato? Rabbia che cresce, chiarezza che si perde, parole affrettate, ferite emotive e relazioni compromesse.
La verità è che, nella comunicazione quotidiana, privata o professionale, ci manca proprio la saggezza, o la disciplina, di restare in silenzio, ascoltare davvero e provare a capire, senza lasciarsi risucchiare dalla forza gravitazionale dell’impulsività emotiva.
“E quanto sono piacevoli le emozioni degli altri! Molto più piacevoli delle idee altrui, pensava.” – Oscar Wild, Il ritratto di Dorian Gray
E le emozioni spesso ci fanno brutti scherzi anche nella nostra comunicazione scritta.
Penso, ad esempio, a molti post di chi si approccia per la prima volta alla creazione di contenuti: testi carichi di informazioni, dettagli, chiamate all’azione multiple. Un eccesso che spesso nasce dall’ansia di volerci far capire a tutti i costi, ma anche dall’inesperienza o dalla mancanza di allenamento alla sintesi.
È un errore comprensibile, capita a molti, soprattutto all’inizio. L’urgenza di dimostrare il proprio valore porta a scrivere troppo, ma rischia di allontanare chi ci legge.
E questo, soprattutto sui social, dove l’attenzione è una risorsa scarsa, rischia di far fuggire proprio quelle persone che potrebbero essere interessate a noi. Come intervenire?
La regola dell’1
La nostra mente ha la naturale tendenza a ricercare ordine, chiarezza e comprensione, nelle informazioni che intecetta. Anche in quelle scritte. Proprio per questo motivo, quando scrivo i miei post o un articolo come questo, cerco sempre di seguire questa regola:
- 1 post
- 1 obiettivo
- 1 messaggio
Applicandola riesco a mantenere il focus su ciò che voglio dire, senza deviazioni, senza confondere le idee e senza sommergere le persone con un vortice di emozioni che potrebbero nascondere un’ansia rispetto al bisogno di visibilità e comprensione.
Se ti stai cimentando con l’attività editoriale, ad esempio qui su LinkedIn, ed hai in programma di scrivere un post questa settimana, prova ad applicarla. Poi rileggi il tutto: sta davvero passando il messaggio e l’emozione che volevi trasmettere?
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Sono Valentina Gherardi e mi occupo di consulenza strategica in Personal Branding per imprenditori, CEO e figure apicali.
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